I miti greci del grande fiume

Cos’è il mito? Il termine viene dal greco mythos e significa “racconto”. Il mito è un modo fantasioso adottato dagli Antichi per provare a spiegare la realtà ed il comportamento degli uomini.

I miti greci evocano storie antiche ricche di avvenimenti, colpi di scena, battaglie e amori. Appartengono alla nostra cultura, ma troppo spesso ce ne dimentichiamo. La civiltà occidentale è figlia non solo della tradizione cristiana, ma anche di quelle πόλεις (città) pagane dove nacque la democrazia.

Il linguaggio dei Greci:
Eridano nome con il quale i Greci identificavano il Po
Esperia (terra del tramonto) nome con il quale i Greci identificavano l’Italia in quanto posta ad occidente.
Electron (frammento di sole) nome con il quale i Greci indicavano l’ambra, la resina di pino fossilizzata.
Isole Elettridi situate alla foce del Po cosi dette perchè qui i Greci venivano a prelevare l’ambra, raccolta nelle coste del Baltico
Elio: dio del Sole
Fetonte figlio di Elio
Eliadi: Lampetia, Egle e Faetusa figlie di Elio

«Nelle isole Elettridi, che sono situate nella parte estrema dell’Adriatico, dicono che ci siano due statue, una di stagno e una di bronzo, lavorate secondo lo stile arcaico. Si dice che siano opera di Dedalo che sfuggendo a Minosse dalla Sicilia e da Creta, si avventurò in questi luoghi. 

Dicono che sia il fiume Eridano ad aver formato con i suoi depositi alluvionali queste isole alla sua foce. Presso il fiume c’è anche una palude… Le genti del luogo narrano di Fetonte che cadde in questa palude colpito dal fulmine e che ci siano intorno molti pioppi, da cui stilla il cosiddetto élektron. Dicono che sia simile alla gomma arabica, che si indurisca come una pietra e che, raccolto dagli indigeni, venga trasportato ai Greci…».

Così un passo di un testo greco richiama l’ambiente lagunare dell’antico Delta padano, con isole emergenti da aree vallive che in epoca romana Plinio il Vecchio chiamerà Septem Maria (Sette Mari). Il suggestivo appellativo di isole Elettridi trae origine dall’ambra, in quanto i Greci chiamavano élektron (nel significato di frammento di sole) questa resina di pino fossilizzata.

Per quanto il Po non sia da intendere come il fiume presso cui si raccoglieva l’ambra, il suo Delta era sicuramente una zona rilevante nei traffici commerciali della resina fossile, proveniente dalle coste del Baltico.

Qui, infatti, i Greci venivano a prelevarla, come è ben attestato dalle testimonianze archeologiche di Frattesina e Campestrin (vedi il Via Vai dei Piccoli n°7-2017, pp.30-33). Secondo la mitologia classica all’Eridano (nome con il quale i Greci identificavano il fiume Po) sono legati alcuni miti greci, tra i quali il più noto è quello che narra la tragica avventura di Fetonte.
eliadiIl Delta era molto lontano per i Greci e già per questo fatto poteva essere immaginato avvolto nel mistero. Con le sue distese di acqua, indefinite, in simbiosi tra lidi e terre, rappresentava uno scenario tanto singolare che non poteva passare inosservato agli occhi di mercanti, viaggiatori, cronisti e ispirava fantastiche vicende, inserite in mondi inaccessibili ai mortali.

Il Delta, come detto, era una zona lontana dell’Italia, che i Greci chiamavano Esperia, cioè terra del tramonto. E proprio nell’estremità occidentale della Terra era ubicato il giardino delle ninfe Esperidi, dove crescevano meli con frutti d’oro.

Era, però, soprattutto il luogo dove il dio Sole (detto anche Elio) concludeva quotidianamente la corsa del suo carro di fuoco trainato da irrequieti cavalli per illuminare, nelle ore diurne, la terra. Qui trovò il suo tragico epilogo l’impresa del figlio di Elio, Fetonte.

Così la racconta un’antica fonte greca, rimasta però anonima: «Dall’unione di Elio con Roda, nasce Fetonte. Sono sue figlie anche le tre Eliadi, chiamate Lampetia, Egle e Faetusa. Divenuto adulto Fetonte chiese a suo padre di cedergli per un giorno il carro e le redini dei bianchi e potenti cavalli, in modo da poter osservare dall’alto il mondo. Il Sole lo ascoltò e al momento si oppose, ben sapendo quello che sarebbe accaduto, ma poi, alle sue insistenze, acconsentì e gli insegnò il percorso. Salito sul carro, egli lo guidava in modo scombinato, tanto da incendiare ogni cosa ci fosse sulla Terra e così Zeus, con un fulmine, pose fine al suo gesto folle. Fetonte, con una divina fiammata, cadde nel fiume Eridano e morì, e le sorelle Eliadi, recatesi presso questa località del mare celtico, lo piangevano incessantemente giorno e notte. Zeus misericordioso le trasformò in pioppi, tramandando il ricordo perpetuo di quella sventura. A quanto si dice, proprio da essi scaturisce l’ambra, il frutto di questo antico pianto che stilla dall’albero.».

A ricordo del fatto, le ninfe Naiadi avevano posto la lapide sepolcrale con la scritta:
«Qui giace Fetonte, auriga del carro paterno. Male egli lo guidò, ma fallì in una grande impresa».
A confermare il mito di Fetonte è anche Apollonio Rodio, che raccontando del tormentato viaggio della nave Argo con gli eroi guidati da Giasone per la conquista del vello d’oro, scrive:

«La nave era trascinata avanti, lontano, dalle vele e gli Argonauti penetrarono ben addentro nell’alveo dell’Eridano; qui una volta, colpito al cuore da ardenti fulmini, semiarso, Fetonte era caduto dal carro del Sole, proprio all’entrata di questo ampio fiume… Gli eroi non avevano voglia di bere né di mangiare; la loro mente non andava ai piaceri. Durante il giorno giacevano affranti, sfiniti dall’odore cattivo che mandavano le correnti dell’Eridano dal corpo riarso di Fetonte, intollerabile; la notte sentivano i gemiti acuti, il triste lamento delle Eliadi. E le lacrime delle Eliadi correvano sopra le acque come fossero gocce d’olio».

Pure il giovane Cigno, figlio del re dei Liguri e cugino di Fetonte, si portò nel luogo della tragedia. Pianse amaramente e riempì di profondi, cupi lamenti le rive del fiume.

La compassione degli dei riservò per lui un trattamento diverso da quello adottato per le Eliadi: fu trasformatCrespino-Stemmao in candido e maestoso uccello palmipede dal lungo collo, che da allora abitò i fiumi e le valli del Delta. Rivivendo oggi i miti cari agli antichi, potremmo ancora incontrarlo.

Curiosità: Una tradizione locale vuole che Fetonte sia caduto nel Po a Crespino, tanto che questo ridente paese rivierasco ha dedicato la piazza principale proprio al figlio del Sole e lo stemma del Comune raffigura la sua impresa.

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a cura di Raffaele Peretto, archeologo

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