Mamme con la Partita IVA

36 anni, una laurea in Filosofia, un dottorato in Antropologia, libera professionista nel settore della formazione ed una grande autentica vocazione: osservare la gente.

Così, quando nel 2016 Valentina Simeoni è diventata mamma, osservare e raccontare le altre donne, che come lei condividono l’esperienza magica della maternità con le acrobazie che la partita iva richiede, è diventato una missione.

Di storie ne ha raccolte oltre 30.
Ha fatto parlare formatrici, traduttrici, veterinarie, informatrici mediche, editor, copywriter, professioniste del mondo digitale… e alcune di queste storie sono diventate parte di un libro, edito da Sonzogno nel 2017, “Mamme con la partita iva. Come vivere allegramente la maternità quando tutto è contro”.

valentinaSimeoniPerché un libro?
Da una parte osservavo il grande bisogno delle donne di narrare la propria gravidanza e la maternità. Dall’altra, incrociando i temi della maternità e del lavoro autonomo, mi rendevo conto che mancava una pubblicazione che parlasse di una realtà che riguarda oltre mezzo milione di donne in Italia, non fermandosi solo ai numeri ed alle statistiche.
Così, dopo aver raccolto molte storie, ho deciso di provare a riempire quel vuoto. Narrando, spero in modo comprensibile a tutti, i desideri, le gioie e le fatiche di queste donne, la loro dedizione al lavoro, la necessità di una gestione abilissima del tempo, i rischi, la paura di un pagamento saltato, di un bilancio che non quadra, la necessità di trovare nuovi clienti e di rimanere sul mercato anche in prossimità della nascita di un bebè, il quadro normativo di riferimento, i costi dei servizi, l’urgenza di una rete di supporto, i trucchi per sopravvivere…

Qual è l’elemento trasversale a tutte le storie?
Sicuramente il primo e positivo elemento trasversale è l’opzione di flessibilità del tempo lavoro. Ma bisogna saperla gestire bene, altrimenti, come un’arma a doppio taglio, si rischia di finire invischiati in un lavoro che non finisce mai, né di notte, né di domenica…senza tregua. Le storie che ho raccolto raccontano di professioniste i cui volumi di attività e fatturato sono relativamente piccoli, le così dette piccole partite iva. La loro quotidianità è diversa da quelle delle grandi partite iva, in studi consolidati o associati. Sono esposte a molti più rischi ed hanno molte meno tutele.

L’Italia è un paese per mamme con la partita iva?
Direi che non è un paese per Partite iva in generale. Ma dirò solo delle mamme .
Anche se il Jobs Act rappresenta un piccolo passo in avanti, resta che c’è ancora molto da fare per garantire un accesso alla maternità più democratico e giusto. La legge ha introdotto, ad esempio, il diritto all’indennità di maternità pur continuando a fatturare. La stessa indennità è stata estesa da 3 a 6 mesi. Purtroppo, però, il sito dell’Inps dove caricare la domanda non è aggiornato alle novità della norma e nella tendina sono indicati ancora solo 3 mesi. L’indennità, inoltre, può essere richiesta sui versamenti degli ultimi 12 mesi di lavoro. E se una futura mamma avesse lavorato nei precedenti dieci anni, ma per sfortuna sua non nell’ultimo, a quanto dice la legge non avrebbe i requisiti per richiedere nessuna indennità. La trovo una grave ingiustizia sociale. C’è poi la questione cronicizzata dei pagamenti mai puntuali, che in volumi piccoli possono rappresentare un grosso problema. E tuttavia non esistono ancora strumenti di rivalsa di cui la o il professionista possa valersi. E, inoltre, i servizi all’infanzia hanno spesso costi troppo elevati ed orari rigidi. Credo che l’Italia non sia culturalmente pronta ad accogliere il lavoro libero professionale. Lo si guarda con sospetto, come una forma inferiore del lavoro tradizionale o da dipendente, e perciò con meno diritti. Questo atteggiamento è causa di un lento e progressivo depotenziamento del lavoro, favorito anche dalla tendenza ad una liberalizzazione spinta.

Quali sono, allora, i trucchi per rimanere professioniste e mamme felici nonostante sia tutto contro?
La risposta è nella parola rete. Dobbiamo riuscire a crearci una rete di supporto, fatta dai nonni, se ci sono, dagli altri membri della famiglia, ma aperta alle altre mamme. Con loro possiamo condividere una fitta rubrica di babysitter, ma anche prestarci sostegno reciproco, quindi dividerci di settimana in settimana la gestione delle attività dei nostri bimbi. La rete deve anche comprendere colleghe che possano per conto nostro svolgere il lavoro che per necessità di famiglia non riusciamo a svolgere nei tempi richiesti. La collega potrà incrementare il suo budget, io continuerò a gestire il cliente, non lòo perderò, pur avendo dato priorità al mio bambino.

 

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