Natale nelle tradizioni popolari. Saluti augurali

Feste e saluti augurali

Nei giorni dell’anno più freddi e corti di luce, quando la terra e le piante riposano, anche per chi vive del lavoro nei campi è meno laboriosa la giornata. Un tempo, come oggi, le occupazioni invernali erano prevalentemente dedicate alla manutenzione degli attrezzi e alla preparazione di quanto necessario all’avvio dei lavori per la nuova annata agraria.

Nei rigori di questa stagione, un tempo più marcati di quelli attuali, e in un periodo in cui la povertà governava l’esistenza di molti le grandi festività tra dicembre e gennaio giungevano a lenire e in parte allietare la sofferente quotidianità con il fascino corale di manifestazioni tradizionali dal sapore pienamente popolare.

Era dicembre il periodo dell’anno più favorevole anche per racimolare regalíe: in particolare prodotti mangerecci o qualche moneta, utili per festeggiare con cene in compagnia. Questo mese infatti godeva di particolare potenzialità soprattutto per il sentimento di spiritualità e di benevolenza che si diffondeva e progressivamente si intensificava in prossimità della nascita del Redentore.

Ciò coincideva, inoltre, con un altro non secondario fattore, rappresentato dall’uccisione del grasso maiale, povera bestia che premurosamente era allevata in pressoché tutte le famiglie, per essere destinata ad una completa trasformazione, senza alcuno scarto, in svariati e gustosi prodotti da consumare subito o conservare a lungo. Infine, anche le cantine, rispetto agli altri periodi dell’anno, erano più ricche di vino, avendo già portato alla giusta maturazione la preziosa bevanda, frutto dell’ultima vendemmia autunnale.

Ed ecco che all’avvicinarsi del Natale era frequente incontrare mendicanti che, andando di casa in casa, recitavano un saluto augurale in cambio di qualche ricompensa.

Erano però squadre di giovani buontemponi a percorrere strade sia dei centri abitati che delle campagne portando alta una stella preparata al caso con assicelle di legno e ricoperta di colorata carta velina, illuminata da una candela.

CHIARASTELLA

Notte, felice notte! E nel più chiaro che sia nel mondo per vedere la luce attorno la chiarastella.
C’è un angiolin che scende; e scende scende a una capanna grideremo tutti osanna la gloria al cielo.

Non mancava il saluto finale:
E noi la ringraziamo tanto della carità ben fatta. Un altro anno ritorneremo se saremo in società!

foto-stellaDall’imbrunire della sera alle prime ore della notte si disperdevano in coro le cantilene della Chiarastella (Ciarastela). I gruppi si fermavano alle porte di tutte le abitazioni e non desistevano dalle loro esibizioni canore se prima non avevano ricevuto qualche riscontro materiale: frequenti erano le monete che si raccoglievano in barattoli continuamente agitati per richiamare con il tintinnio l’attenzione, ma non mancavano i tanto graditi salamini e qualche bottiglia di vino novello. Ancor oggi questa tradizione è superstite anche se, assieme alle parole e alla musica, ha perso molto del suo significato originario. Il canto della Ciarastela presentava varianti legate alle tramandate culture locali.

DOPO NATALE

Subito dopo Natale, per una settimana si sfruttava l’imminente arrivo dell’anno nuovo; si facevano avanti soprattutto singole povere persone ad augurare un buon anno ricco di ogni bene:

Auguro un bon anno, bon principio, bone feste, bone minestre, boni caponi, boni tempi, boni formenti…Datemi la bonamano se siete contenti.

Ma il primo dell’anno erano soprattutto i bambini a passare di casa in casa portando saluti augurali a tutta la famiglia e racimolando qualche soldino, dolcetti o caramelle.

Anche l’Epifania era un’occasione favorevole soprattutto per le mendicanti (era male, per la festa precedente, che fosse una donna ad augurare il buon anno), che, richiamando per l’età e il trasandato abbigliamento la figura della Befana, invertivano il ruolo chiedendo loro qualcosa in cambio di una visita e di un saluto:

…c’è qui la vecia che vien da Milan…porteme un pugno de farina bianca…portè da bevar a chi sona e canta; …gh’è la vecia che vien dal bosco e la vol na brasolina senza l’osso…

Le feste finivano inesorabilmente presto, ma la sagacia contadina giungeva a prolungarle, prima di affrontare il lungo tempo delle rinunce imposte dalla Quaresima. Un detto ancora in uso recita: l’Epifania tutte le feste porta via…, però l’espressione non è completa in quanto i nostri cari avi aggiungevano: …ma quel matto di Carnevale tante ancora ne torna a portare! E di conseguenza tra dolci classici, frittelle, favini, crostoli, cappelletti, tutti rigorosamente prodotti in casa, di tanto in tanto si stava in compagnia con canti e balli: …

doman è festa se magna la minestra, se beve nel boccale…viva, viva Carnevale!

a cura di Raffaele Peretto Archeologo

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