Il povero islandese e la natura

Questa è la storia di un vecchio islandese che trascorse gran parte della sua vita a fuggire da tutto. Quando era giovane, per molto tempo aveva inseguito il successo ed i soldi.
C’era ben riuscito. Ma non era felice. Si era accorto infatti che ad ogni risultato raggiunto ne doveva seguire sempre un altro ancora più importante e poi un altro e ancora un altro… non bastava mai.
Si era convinto anche che gli uomini tutti fossero più spesso arrabbiati ed infelici. Assai diffusa era l’invidia, sorella di avidità ed avarizia. Così un giorno decise di cambiare vita.
Cercò un po’ di pace nella solitudine del paesaggio della sua bella Islanda. Non gli fu difficile. L’Islanda è davvero poco popolata.
Si accorse però che il freddo di quegli inverni gli dava così fastidio da diventargli insopportabile, come il vento e la luce di certe giornate estive.
Doveva andarsene.

Cominciò allora il suo interminabile peregrinare.
Attraversò l’Europa, ma in ogni paese provò fastidio ed inquietudine. Raccontò di aver incontrato popolazioni maleducate ed incivili. Dapprincipio, parve che alcune isole sull’oceano Pacifico gli piacessero molto.
La gente era quieta, il cielo era sereno.Ma scoprì presto che quel cielo limpido veniva di sovente tormentato dai terremoti o dai maremoti.
Nelle Americhe sperimentò tifoni e inondazioni. Attraversò foreste tanto fitte e spaventose da credere di non sopravvivere.
In un’altra terra, che gli dissero essere la culla di ogni civiltà, dove per prime nacquero la scrittura, la ruota, i templi… incontrò solo guerre e sopraffazioni di uomini su altri uomini.

Fu allora che decise di andare dove nessun altro uomo fino ad allora era andato, oltre la linea Equinoziale. Si addentrò nel profondo più profondo dell’Africa, sperando, finalmente, di trovare la sua agognata pace. Fu in quel luogo ameno che vide da lontano un busto grandissimo. Immaginò dovesse essere di pietra, a somiglianza di quelle pietre colossali viste molti anni prima nell’isola di Pasqua.

 Ma avvicinatosi, si accorse che era una forma smisurata di donna seduta in terra, con il busto dritto, il fianco ed il braccio appoggiati ad una montagna. Non era finta. Era viva.

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Impietrito dalla paura il povero islandese tacque. Poi lacrimando mugugnò qualcosa, del tipo: “Povero sventurato! Questa si che di tutte è la più grande disavventura!”. “E perché mai mi fuggi?” – continuò la donna “Perché tu non sei madre buona, ma matrigna cattiva. La peggiore di tutte, crei i tuoi figli e li lasci infelici…”

Mentre l’islandese parlava, dalla terra su cui l’immensa donna appoggiava le membra e le mani, continuavano ad uscire fiori, piante, animali di ogni specie, cuccioli, rivoli d’acqua… ogni nuova creatura prendeva poi la propria strada e scompariva sotto gli occhi ancora attoniti e terrorizzati del pover’uomo.

La Natura senza scomporsi, chinò leggermente la sua enorme testa verso l’islandese. Non fece altro. E sentenziò: “Io non creo figli infelici. E nemmeno figli felici. Genero le mie creature e le lascio andare per la loro via. Genero le piante, gli animali, gli uomini, le montagne, i mari, il vento, la pioggia, la neve…anche il terremoto è figlio mio… Io so bene che convivere è difficile. Ma ho dato a tutti ciò che serve per cavarsela e ho dato agli uomini l’intelligenza, le emozioni ed i sentimenti… sono i doni più preziosi.

A volte credo di aver esagerato nel preferirli agli altri figli miei. Basterebbe che imparassero ad usarli, i miei doni, per trovare, quella che tu cerchi da anni e che chiami pace o felicità”. Il povero islandese continuava ad ascoltare… “Così – aggiunse la Natura – solo agli uomini è dato poter costruire la loro fortuna, arricchire e gestire la ricchezza in modo tale che nessuno sia tanto povero da soffrire. Solo gli esseri umani possono dare senso alle cose, oltre il soddisfacimento dei bisogni. Sono capaci di costruire ripari sicuri anche per resistere ai terremoti.
Secondo alcuni testimoni quando la Natura smise di parlare, l’uomo prese la sua strada e nessuno da quelle parti lo vide più.

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