La Grande Onda di Katsushika Hokusai.

Editoriale

Come nella Grande Onda di Katsushika Hokusai. Solo quando la si osserva con gli occhi adulti, è possibile comprendere fino in fondo il valore dell’opera del maestro giapponese. (di cui una versione è esposta alla mostra in corso a palazzo Roverella a Rovigo fino al 26 gennaio) Non si intenda valore estetico. Non lo si cerchi nella sinuosità del disegno, nell’essenzialità compositiva o nell’armonia cromatica, che pure valsero all’opera un tale successo da diventare un punto di riferimento per l’intero mondo dell’arte e oggi un’icona cult. Lo si cerchi piuttosto nel dettaglio più piccolo del suo disegno. Nella postura e nell’atteggiamento dei pescatori dentro le loro instabili imbarcazioni, ormai in balia dell’onda.

E’ in quell’atteggiamento, il valore, etico prima che estetico, di un’opera che a distanza di secoli non perde la sua eloquenza. L’onda del golfo di Kanagawa si erge imponente, con tutta la sua forza. La sua spuma prende la forma di artigli dalla cui presa nessuno sembra poter restare indenne. Sullo sfondo il monte Fuji è piccolo, osservatore impotente di ciò che accade in primo piano. Tutto all’apparenza fa presagire un disastro. Lo scontro potrebbe sembrare imminente. Da una parte la natura con tutta la sua energia creatrice e distruttrice insieme. Dall’altra l’uomo. Che paura deve aver provato di fronte a quello spettacolo. Che rabbia di fronte ad un destino a lui tanto avverso. Incapace di pensare, assalito dal panico, guidato dal solo istinto di sopravvivenza, ce lo immaginiamo a spendere ogni risorsa per opporsi alla violenza di quell’onda, nel tentativo di fuggire, riaffermare se stesso. E invece…

Nella Grande Onda di Hokusai non c’è traccia di opposizione alcuna. Non c’è scontro. Non c’è fuga. I pescatori, piccoli puntini dentro ad ormai impotenti imbarcazioni, sono dipinti chini, inginocchiati di fronte a sua maestà la Natura. Raccolti in silenzio, sembrano mettersi in ascolto di ciò che quell’onda sta dicendo loro. E le barche invece di essere travolte, assecondano la corrente. Qualche critico d’arte definì l’opera come la rappresentazione di una serena inquietudine, facendo ovviamente riferimento alla biografia del suo autore.

“Quell’Hokusai che visse per l’arte, che conobbe la povertà estrema e che per campare fece di tutto, dal fattorino all’illustratore di libri di serie B”. Che non prese mai troppo sul serio il valore della sua opera, pur continuando a disegnare e a studiare. Che sperava di vivere 130 anni (morì invece a 89).

Quell’Hokusai che aveva forse capito che la vita non è cosa che si costruisce o ottiene combattendo, ma è riconoscere ed accogliere ciò che è dato e con gratitudine e silenziosa laboriosità renderlo fruttuoso. E’ l’inquietudine serena della Grande onda di Kanagawa, che solo gli occhi adulti sanno cogliere oltre la retina, fino al cuore.

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