Mai trascurare il serbatoio emozionale. Come gestire l’ansia in tempi di pandemia e di convivenza obbligata

di Claudia Fenzi
pedagogista

Si collezionano molte cose: insetti, conchiglie, orologi, francobolli, pietre.
Io colleziono storie. Non storie qualsiasi: sono storie di genitori che sono stati bambini.
Alcune delle storie che sto raccogliendo ultimamente hanno un denominatore comune: lo straordinario momento storico in cui stiamo vivendo, in particolare la sollecitazione costante dello stato emotivo dell’ansia che va spesso a braccetto con la rabbia.

Come hanno gestito le emozioni durante la quarantena le famiglie che ho incontrato?

Qualcuno si è concentrato sulla nuova organizzazione del tempo e dello spazio. Sono stati creati nuovi riti e ritmi (anche se non ci si deve vestire per uscire, si mette la tuta e non si resta in pigiama, ogni sabato si impasta la pizza tutti insieme) e gli spazi hanno assunto nuovi significati (ogni tavolo un ufficio o un’aula scolastica, ogni terrazzino un nuovo spazio vitale da arredare!)

Una buona organizzazione è alla base della gestione dell’ansia (in particolare l’organizzazione del tempo) e della rabbia (soprattutto l’organizzazione degli spazi).

Altre famiglie hanno posto l’attenzione su ciò che rende piacevole e bello stare insieme, come giocare in famiglia, costruire giocattoli, dare vita a spettacoli o a piccoli concerti, rivedere tutte le saghe più famose della TV, leggere insieme, ma anche collaborare per rendere più bella la casa o il giardino (chi ha ridipinto le pareti, chi ha piantato nuovi fiori o addirittura l’orto, chi ha riempito la casa di disegni coloratissimi!)
Condividere momenti speciali (e belli) è uno dei linguaggi attraverso cui comunichiamo affetto, ovvero attraverso cui riempiamo il “serbatoio emozionale” dell’altro (Gary Chapman, 1995).

Quando un bambino ha il serbatoio emozionale vuoto qualunque richiesta o frustrazione diventa intollerabile. Se l’adulto è emotivamente disponibile, riesce a sintonizzarsi con il bisogno profondo del bambino, cioè a riempire il suo serbatoio: il bambino è di nuovo in grado di “fare fatica” accettando anche le richieste meno piacevoli (lavarsi i denti, fare i compiti, aspettare prima di parlare, ecc.). Se l’adulto non è disponibile (perché in quel momento anche il suo serbatoio emozionale è a secco!), si attivano quei cortocircuiti che ben conosciamo in cui la rabbia diventa protagonista.

Cosa si può fare quando il nostro serbatoio emozionale si svuota?

Spesso ci comportiamo come i bambini (il nostro “bambino interiore” è sempre presente) con modalità apparentemente adulte, ma di fatto infantili perché orientate verso la “pretesa”. Ci rivolgiamo all’altro in tono autoritario, aggressivo, svalutante… insomma sfoderiamo il nostro repertorio di comportamenti “color rabbia”. Naturalmente l’effetto (prevedibile!) è deludente: l’altro innalza un muro difensivo e un sassolino scivolato di mano finisce per provocare una frana!

Una mamma mi raccontava che durante la quarantena era arrivata all’esasperazione con il figlio di cinque anni: i “bracci di ferro” che normalmente erano diluiti nell’arco della giornata, durante la convivenza H24 non trovavano più valvole di sfogo. Ad accompagnare l’esasperazione c’erano anche i sensi di colpa della madre: “Possibile che io riesca a sentire affetto per mio figlio solo quando dorme o lo guardo in fotografia? Mi propongo di mantenere la calma ogni mattina, ma più ci provo e meno ci riesco, lui sa bene dove colpire… e comincia da quando scende dal letto, immancabilmente col piede sbagliato!

La preoccupazione della madre stava nel fatto di non riuscire a far rispettare nessuna regola o richiesta al bambino che la provocava continuamente. In questo braccio di ferro più la madre spingeva sulle richieste più il bambino si opponeva e viceversa. Una sera la madre, riguardando le fotografie delle vacanze, si rese conto che la cosa che davvero voleva per sé e per suo figlio era “stare bene” e si addormentò con questa consapevolezza. Il mattino seguente, diversamente dal solito, svegliò il bambino proiettando ombre cinesi sulla parete illuminata dal sole che filtrava dalla tapparella abbassata. Quella mattina non fu difficile fare colazione, lavarsi i denti e vestirsi accompagnati dalle storie fantastiche che erano sgorgate dalle ombre sul muro. Da quel momento la madre non perse più di vista il bisogno del bambino di sentirsi amato e non solo comandato; da quel momento i bracci di ferro non sparirono, ma diminuirono d’intensità e frequenza. Lo “spazio fisico” che la quarantena aveva ridotto si era trasformato in “spazio relazionale” che la creatività della madre aveva aperto.

Condividere un momento speciale attraverso il gioco riempie il “serbatoio emozionale” del bambino (e anche quello del genitore) mettendo a disposizione nuove energie per “fare fatica”.

Preoccupandoci di riempire prima il serbatoio dell’altro, il centro della relazione si sposta da noi stessi (logica del potere) all’altro (logica del dono).

Una storia che trasforma spazio fisico in spazio relazionale, potere in dono e “braccio di ferro” in “ombre cinesi” è una buona storia da aggiungere alla collezione!

Claudia Fenzi Claudia Fenzi

Potrebbe piacerti anche Altri di autore

Lascia una risposta

L'indirizzo email non verrà pubblicato.